Il Mistero del processo

Processo

Il grande giurista sardo del Novecento Salvatore Satta, autore, oltre che di numerose pubblicazioni scientifiche di diritto processuale, de Il giorno del giudizio, romanzo affermatosi tra il grande pubblico dopo la morte dello scrittore, in una conferenza tenuta a Messina intitolata Il Mistero del processo sostenne che il processo e le norme che lo governano non bastano da sole a soddisfare il bisogno di giustizia che alberga nel cuore e nella coscienza degli uomini.

La tesi di Satta, che pone le norme come frutto del rapporto che intercorre tra l’uomo e la realtà che lo circonda ed anche della concatenazione di eventi che si dispiegano nella storia e nelle società edificate e governate dagli uomini, proietta il diritto non solo verso un’idea di giustizia esemplificabile e dunque percepibile dagli uomini, ma anche in un orizzonte di trascendenza che spesso agli uomini sfugge e che rende le norme e le dinamiche processuali incomprensibili alle categorie intellettuali della ragione e, per ciò stesso, misteriose.

Satta osserva: << Paradosso? No, non è un paradosso, il mistero del processo, il mistero della vita. Se noi contempliamo il corso della nostra esistenza – il breve corso della nostra vita individuale, il lungo corso della vita dell’umanità – esso ci appare come un susseguirsi, un intrecciarsi, un accavallarsi di azioni, belle o brutte, buone o cattive, sante o diaboliche: la vita stessa anzi non è altro che l’immenso fiume dell’azione umana, che sembra procedere e svolgersi senza una sosta. Ed ecco, a un dato punto, questo fiume si arresta; anzi ad ogni istante, ad ogni momento del suo corso si arresta, deve arrestarsi se non vuole diventare un torrente folle che tutto travolga e sommerga: l’azione si ripiega su se stessa e, docilmente, rassegnatamente, si sottopone al giudizio. Perché questa battuta d’arresto è proprio il giudizio: un atto dunque contrario all’economia della vita, che è tutta movimento, tutta volontà e tutta azione. Un atto antiumano, inumano, un atto veramente – se lo si considera, bene inteso, nella sua essenza – che non ha scopo. Di questo atto senza scopo gli uomini hanno intuito la natura divina, e gli hanno dato in balìa tutta la loro esistenza. Di più, tutta la loro esistenza hanno costruito su questo unico atto. Secondo il nostro credo, quando la vita sarà finita, quando l’azione sarà conclusa, verrà Uno, non per punire, non per premiare, ma per giudicare: qui venturus est judicare vivos et mortuos>>.

Ecco allora dove viene richiamato l’uomo dall’orizzonte della trascendenza: al Dio che giudica, non al Dio che punisce. Nel giudizio risiede la pena. Il giudizio è già una pena e non necessita di altra punizione. Questa è la sua natura divina. Natura divina che, al tempo stesso, gli uomini stravolgono e capovolgono ponendo la pena come elemento essenziale del giudizio, come un suo elemento necessario. Capovolgimento che porta gli uomini a vedere nel crimine, nel male e, soprattutto, in coloro che se ne rendono responsabili, qualcosa che il giudizio deve sopprimere, annientare con il carcere o con la pena di morte. Il giudizio invocato diventa allora, con la durezza e la ferocia della pena che ne consegue, l’atto legittimante un sentimento primitivo di vendetta, più che un sentimento divino di giustizia, per quanto nessuno voglia essere giudicato e gli uomini, per natura, aborriscano il giudizio ritenendosi tutti innocenti ed insieme vogliano tutti giudicare: << Nulla gli uomini aborriscono come il giudizio, quest’atto senza scopo che hanno messo al centro della loro esistenza. Ciascuno è intimamente innocente, e il vero innocente non è colui che viene assolto, bensì colui che passa nella vita senza giudizio. Ma ne aborriscono per la stessa ragione per la quale a loro volta vogliono giudicare, perché giudicare significa postulare l’ingiustizia di un’azione, invocare quindi il giusto contro di essa>>. Solo nel giudizio dato all’altro, dunque, l’uomo si sente nel giusto e nella pena inflitta all’altro. Volendosi paragonare al Dio, arrogando a sé le funzioni di quell’Uno, l’unico che può giudicare, l’uomo si contrappone invece al vero monito di << divina giustizia che è nel giudizio >> per cui << fu detto non giudicate >>.

Il mistero del processo, il suo orizzonte di trascendenza, che non è certo rinuncia o abdicazione del diritto ad altre sfere dell’umano, come potrebbe apparire, Satta non lo svela nelle opere di dottrina e di scienza giuridica, né in quelle precedenti, né in quelle successive alla conferenza in questione, ma nel suo capolavoro letterario: Il giorno del giudizio, appunto.

Il titolo del romanzo evoca sia il giudizio umano espresso grazie alla legge dopo un processo, sia il giudizio ultraterreno espresso dalla sacralità religiosa, che la scrittura letteraria si fa carico di rappresentare e di esprimere in una forma dove la vita degli uomini, intesa come un processo storico-terreno, viene sottoposta allo sguardo e alla comprensione dello scrittore, che non è uno sguardo sanzionatorio del male né uno sguardo indulgente, ma neanche uno sguardo premiale rispetto al bene.

 Lo sguardo dello scrittore è comprensivo, va oltre le frontiere del bene e del male storicamente stabilite. E’ uno sguardo che proietta il percorso esistenziale degli uomini in una sfera che trascende la stessa vita umana e religiosamente oltre la vita stessa di chi si accinge a giudicare, nell’eternità.

Oltre lo spazio e il tempo della vita terrena, dove tutto si annulla e diventa uguale come le cose che giacciono sotto una coltre bianca di neve, dove le vicende della vita si sono liberate di se stesse.

Ed è il bisogno, anch’esso divino, di conoscenza, di verità e di giustizia che porta l’uomo a conoscere se stesso. << E per conoscersi bisogna svolgere la propria vita fino in fondo, fino al momento in cui si cala nella fossa. Ed anche allora bisogna che ci sia uno che ti raccolga, ti risusciti, ti racconti a te stesso e agli altri come in un giudizio finale. E’ quello che ho fatto io in questi anni, che vorrei non aver fatto e continuerò a fare perché ormai non si tratta dell’altrui destino ma del mio >>.

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